Casa data gratis a figli o parenti: chi paga davvero IMU, TARI e TASI

Quando un genitore mette a disposizione un appartamento per un figlio che inizia a lavorare, o un nonno presta la casa al nipote che studia in un’altra città, nasce subito una domanda silenziosa: se non c’è affitto, chi paga le tasse? Molte famiglie vivono questa situazione immaginando ingenuamente che una casa data gratis significhi anche zero oneri fiscali. La realtà è più sfumata, e proprio per questo motivo vale la pena capire come funzionano davvero le imposte in questi casi. Quando una casa è concessa gratuitamente a un figlio o a un parente, il pagamento di IMU, TARI e (storicamente) TASI dipende dalla situazione giuridica effettiva e dall’uso reale dell’immobile. L’IMU è dovuta dal proprietario indipendentemente da chi la abita, la TARI da chi occupa stabilmente la casa e produce rifiuti, mentre la TASI non rappresenta più un problema dal 2020. La sorpresa più frequente arriva quando le cartelle tributarie bussano alla porta, rivelando che “avere dato la casa gratis” non annulla gli oneri, ma li trasferisce secondo regole precise.

Quando la casa è gratis, ma le tasse no

La scena è classica in tante famiglie italiane. I genitori, possessori di una casa, decidono di lasciarla occupare dal figlio per aiutarlo durante i primi anni di indipendenza. Nessun contratto di affitto, nessuno scambio di denaro: semplicemente una forma di sostegno familiare. Allo stesso modo, una coppia di genitori anziani potrebbe tenere una seconda abitazione principalmente chiusa, ma disponibile per il nipote che viene a trovarli nel periodo estivo o che la usa quando torna dal lavoro. In questi scenari, il primo dubbio che emerge è sempre lo stesso: se il denaro non cambia di mano tra le parti, perché lo Stato dovrebbe entrare nella questione? La risposta è che gli immobili sono tassati indipendentemente dalle relazioni di affetto che intercorrono tra chi li possiede e chi li utilizza. Le istituzioni municipali e regionali hanno bisogno di entrate stabili per mantenere i servizi e, dunque, hanno creato un sistema di tassazione che non si basa sull’affitto percepito, bensì sulla proprietà e sull’uso dell’immobile.

Le domande che nascono spontanee sono numerose: chi è formalmente obbligato a versare l’IMU, il proprietario che ne è esentasse oppure il figlio che vi abita? Se una casa non produce affitto, come funziona il calcolo della TARI per la raccolta rifiuti? E quella vecchia TASI di cui i genitori sentono ancora parlare online, è ancora rilevante? Raramente le famiglie hanno risposte chiare a questi quesiti, e ancora più raramente cercano consulenza prima che arrivino gli avvisi di mora dal Comune. Proprio per questo, un’analisi sistematica del tema può trasformare una situazione di incertezza in consapevolezza pratica. Nel proseguire della lettura scoprirai esattamente chi paga cosa quando c’è un comodato gratuito tra genitori e figli, quando si può ottenere uno sconto sulle imposte e quali errori comuni dilapidano denaro inutilmente.

Tre imposte diverse: capire IMU, TARI e TASI

Prima di analizzare chi paga cosa in caso di casa concessa gratis, è fondamentale non fare confusione tra tre tributi che agiscono secondo logiche completamente differenti. Molti cittadini tendono a raggrupparle mentalmente come “le tasse sulla casa”, quando invece rispondono a principi distinct e ricadono su soggetti diversi. Comprendere queste differenze è il primo passo per evitare di versare denaro inutilmente o di lasciarsi sorprendere da cartelle inaspettate.

L’IMU: l’imposta sulla proprietà

L’IMU (Imposta Municipale Unica) è l’imposta gravante sulla proprietà o sul possesso di diritti reali su immobili. Il soggetto obbligato al pagamento non è chi vive nella casa, bensì colui che figura come proprietario oppure titolare di diritti reali quali usufrutto, uso o abitazione. In sintesi, l’IMU si guarda il nome nel Catasto: se sei intestatario dell’immobile, sei tu a doverla pagare. L’eccezione più rilevante riguarda l’abitazione principale, che in genere è esente da IMU a condizione che sia effettivamente la dimora principale del proprietario con residenza anagrafica e dimora abituale. Tuttavia, questa esenzione non si applica alle abitazioni ricadenti in particolari categorie catastali considerate di lusso (A/1, A/8, A/9), per le quali l’IMU è dovuta anche se utilizzate come prima casa.

Un aspetto cruciale che spesso passa inosservato è che l’esenzione per l’abitazione principale è strettamente personale. Se tu hai la residenza e la dimora abituale in una casa, quella casa sarà esente; ma se la possiedi e non ci abiti (ad esempio, l’hai ceduta in comodato ai tuoi figli), allora per te rappresenta una seconda casa e l’IMU è pienamente dovuta. Questa distinzione è decisiva quando si parla di genitori che lasciano usare ai figli una casa senza affitto.

La TARI: l’imposta sulla raccolta rifiuti

La TARI (Tassa sui Rifiuti) è una tassa comunale che finanzia il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani. A differenza dell’IMU, che guarda chi possiede, la TARI guarda chi effettivamente occupa e usa l’immobile. Il soggetto obbligato non è il proprietario, ma l’occupante: l’inquilino, il comodatario, il parente che vive nella casa. Anche se la casa è concessa gratis, la TARI è dovuta da chi la utilizza stabilmente e produce rifiuti. L’importo della TARI si calcola sulla base della superficie calpestabile dell’immobile e del numero di occupanti dichiarati, come stabilito dal regolamento del singolo Comune.

Un dettaglio pratico rilevante è che chi entra in una casa, anche gratuitamente, deve comunicare l’occupazione al Comune tramite una dichiarazione TARI e una variazione anagrafica se intende risiedere stabilmente. Senza questa comunicazione, il Comune potrebbe comunque emettere cartelle sulla base dei dati catastali o emessi in passato, creando confusione e potenziali dispute. Nella pratica, non è raro che le bollette TARI arrivino al proprietario dell’immobile, il quale si trova poi a pagare per l’occupante, rischiando una lite familiare se non esiste un accordo esplicito tra le parti.

La TASI: una storia ormai conclusa

La TASI (Tassa sui Servizi Indivisibili) era un tributo municipale introdotto per finanziare servizi comuni (illuminazione, pulizia strade, ecc.). Era peculiare perché poteva essere suddivisa tra il proprietario dell’immobile e chi lo occupava: il proprietario versava una quota più consistente (ad esempio il 70-80% secondo il regolamento comunale), mentre l’occupante versava la differenza (20-30%). Tuttavia, da gennaio 2020 la TASI è stata abolita e integrata in una nuova struttura tributaria, per cui oggi non è più rilevante come tributo autonomo. Quello che leggi online riguardante la TASI nei comodati gratuiti quasi sempre fa riferimento a normative ormai superate.

L’unica situazione in cui la TASI potrebbe ancora toccarti è se possiedi cartelle risalenti a anni precedenti il 2020 non ancora saldate. In quel caso, è opportuno verificare con il Comune o un professionista le opzioni di ravvedimento o le eventuali scadenze di prescrizione. Per il presente e il futuro, però, il tuo focus deve essere solo su IMU e TARI, non su una tassa che non esiste più.

Gli scenari comuni: casa gratis ai parenti

Non tutte le situazioni in cui una casa è data gratis sono uguali dal punto di vista fiscale. Le circostanze giuridiche e di fatto cambiano notevolmente a seconda della relazione tra il proprietario e chi la abita, della formalità dei contratti e della destinazione d’uso. Riconoscere il proprio scenario è essenziale per capire quali obblighi tributari scattano realmente.

Il comodato d’uso gratuito tra genitori e figli

Lo scenario più frequente è quello del comodato d’uso gratuito: i genitori proprietari di un immobile ne cedono l’uso a un figlio, spesso allegando un contratto scritto e registrato presso l’Agenzia delle Entrate. Questo contratto formalizza che la casa non è affittata (non c’è corrispettivo) e che il figlio ha diritto di usarla, ma il proprietario conserva la titolarità. Quando il comodato è registrato e il figlio usa l’immobile come abitazione principale (vi ha residenza e dimora abituale), si aprono possibilità di riduzione delle imposte, di cui parleremo in dettaglio più avanti. Il vantaggio principale di formalizzare un comodato d’uso è proprio la possibilità di accedere ad agevolazioni fiscali che non sarebbero disponibili in caso di semplice “arrangement” informale.

Uso “alla buona” senza contratti formali

Esiste poi una realtà diffusa di case date ai parenti semplicemente per accordi verbali o addirittura impliciti, senza alcuna documentazione ufficiale. I nonni, per esempio, potrebbero permettere al nipote di abitare in una loro proprietà senza sottoscrivere nulla: è un favore di famiglia, non un affare. Dal punto di vista del fisco, l’assenza di un contratto registrato complica la situazione: il Comune e l’Agenzia delle Entrate non hanno documentazione che attesti un “accordo speciale”, e dunque tendono ad applicare il regime tributario standard per una seconda casa. Il proprietario (i nonni) rimane soggetto all’IMU senza alcuno sconto, a meno che non possa provare in altro modo il diritto a un’agevolazione.

Seconde case lasciate “a disposizione”

Un’altra circostanza ricorrente è quella della seconda casa che i proprietari tengono prevalentemente vuota, ma formalmente “a disposizione” di figli adulti o altri parenti. L’immobile non è principale per nessuno: il proprietario ha la residenza altrove, e il figlio potrebbe abitarvi saltuariamente o stagionalmente. In questi casi, l’IMU è dovuta nella misura ordinaria dal proprietario, perché non rientra nell’esenzione dell’abitazione principale. La TARI, invece, dipende da quanta parte dell’anno l’immobile è effettivamente occupato e da chi comunica l’occupazione al Comune.

Parenti di secondo grado e oltre

Infine, è opportuno notare che molte agevolazioni previste dalla legge italiana per i comodati gratuiti si applicano solo tra parenti in linea retta di primo grado, ossia tra genitori e figli. Nonni e nipoti, zii e nipoti, o cugini entrano in una categoria diversa, per cui le possibilità di sconto sono più limitate o del tutto assenti. Questa restrizione è una delle ragioni per cui è cruciale verificare il proprio scenario specifico prima di fare assunzioni.

Come funziona l’IMU quando la casa è data gratis

L’IMU è l’imposta che crea più confusione quando si parla di case date gratis ai parenti. Molti credono erroneamente che “se mio figlio ci abita, non devo pagare l’IMU”, ma la legge funziona diversamente. Analizziamo in dettaglio chi è realmente obbligato, quando si applicano le riduzioni e quali condizioni sono irrinunciabili.

Il principio base: la paga il proprietario

Iniziamo dal concetto fondamentale: l’IMU è dovuta dal proprietario dell’immobile, indipendentemente da chi lo abita. Anche se il tuo appartamento è occupato da tuo figlio gratuitamente, tu rimani il soggetto passivo dell’imposta. Non conta chi vive dentro; conta chi è intestato nel Catasto. Questa regola è semplice e lineare, e non ammette eccezioni legate all’affetto o al rapporto familiare. L’unica vera eccezione è quella dell’abitazione principale: se tu, proprietario, abiti l’immobile e vi hai residenza anagrafica e dimora abituale, allora benefici dell’esenzione IMU (salvo le categorie di lusso già citate).

Quando il figlio abita la casa: cosa cambia e cosa no

Un errore frequente è pensare che se il figlio abita la casa come sua abitazione principale, allora il genitore proprietario non paga IMU. Questo è falso. L’abitazione principale che interessa il fisco è quella del proprietario, non quella dell’occupante. Se tu genitore non vi abiti come prima casa (magari perché hai un’altra residenza), per te quella casa rimane una seconda casa e l’IMU è piena: non sconto, non esenzione. Per il tuo figlio occupante, invece, la situazione è più semplice: lui non paga nulla di IMU, perché l’IMU non ricade su chi occupa, bensì sul proprietario.

La riduzione del 50% per comodato ai parenti

Qui entra in gioco l’elemento che molti cercano: una possibile riduzione dell’IMU quando la casa è concessa in comodato d’uso gratuito a parenti di primo grado. La legislazione italiana, in particolare a partire dalla Legge di Stabilità del 2016, ha riconosciuto che in molte famiglie il comodato gratuito è un aiuto reale, e ha introdotto la possibilità di ridurre la base imponibile IMU del 50% per questi casi specifici. Tuttavia, questa agevolazione non è automatica: richiede il concorso di più condizioni, e le famiglie che non le rispettano scrupolosamente si vedono negare il beneficio.

Quali sono i requisiti per la riduzione del 50%

I requisiti affinché la riduzione del 50% della base imponibile si applichi sono i seguenti:

Il contratto di comodato deve essere scritto e registrato presso l’Agenzia delle Entrate. Una semplice handshake o un accordo verbale non conta. La registrazione costa poco (poche decine di euro) ed è semplicissima da fare presso un notaio o un CAF, ma è obbligatoria. L’immobile concesso deve essere utilizzato dal comodatario come abitazione principale: il comodatario deve avere residenza anagrafica e dimora abituale nell’immobile. Non basta che lo occupi saltuariamente.

Il comodato deve essere stipulato tra parenti in linea retta di primo grado, ossia genitori e figli. Nonni e nipoti, zii e nipoti, o parenti acquisiti potrebbero non rientrare in questa categoria. Il comodante (proprietario) deve possedere solo questo immobile in Italia, oppure oltre a questo può possedere un’altra abitazione a condizione che sia effettivamente la sua abitazione principale. In altre parole, non puoi avere multiple proprietà immobiliari residenziali e pretendere di scaricare il 50% su una mentre passi l’IMU ordinaria sulle altre.

Il comodante deve risiedere nello stesso Comune in cui è situato l’immobile concesso, non solo possederlo da lontano. Questi requisiti variano a seconda delle interpretazioni comunali e degli ultimi aggiornamenti normativi, dunque è sempre indispensabile verificare il regolamento IMU del tuo Comune specifico prima di fare affidamento su questa riduzione.

Cosa succede senza contratto registrato

Se il comodato non è registrato, la tua situazione ricade nella norma generale: l’IMU ordinaria è dovuta per intero. Non c’è sconto, non c’è agevolazione. Il Comune non sa formalmente che c’è un accordo speciale tra di voi, quindi applica le aliquote standard. È vero che potresti registrare il contratto retroattivamente, ma questo potrebbe implicare oneri e complessità burocratiche, oltre a possibili contestazioni se il Comune ritiene che il comodato sia stato celato negli anni precedenti.

Attenzione alle categorie di lusso

Un dettaglio che sfugge spesso ai proprietari di case “semplici” è che se l’immobile ricade nelle categorie catastali A/1 (ville), A/8 (castelli) o A/9 (palazzi di rilevanza storica), l’esenzione per abitazione principale non esiste nemmeno per il proprietario che la abita personalmente. Di conseguenza, se tu proprietario hai una villa e la dai in comodato al tuo figlio, l’IMU è dovuta a prescindere, perché la categoria è “di lusso”.

La TARI: l’imposta di chi abita la casa

Se l’IMU è legata al proprietario, la TARI segue un principio opposto: è legata a chi effettivamente occupa e produce rifiuti nell’immobile. Quando una casa è data gratis a un figlio o a un parente, la TARI è dovuta da chi vi abita, anche se non paga nessun affitto. Questo principio rovesciato è spesso la causa di malintesi familiari e contenziosi con il Comune.

Chi è obbligato a pagare

Il soggetto passivo della TARI è chiunque occupi stabilmente l’immobile e produca rifiuti. Se tuo figlio vive permanentemente nella casa, è lui ad essere obbligato al pagamento della TARI. Questo è indipendente da chi sia il proprietario e da qualsiasi accordo affettivo tra voi. Se malgrado ciò il genitore decide di pagare la TARI al posto del figlio per accordo interno, la legge lo consente, ma il responsabile formale verso il Comune rimane l’occupante. Significa che se la tassa non viene versata, è l’occupante ad avere responsabilità tributaria.

L’obbligo di dichiarazione

Una delle cause principali di problemi è l’omessa comunicazione dell’occupazione al Comune. Quando il figlio entra nella casa per abitarvi, deve registrare il cambio di residenza in Anagrafe e, contemporaneamente, il Comune deve essere informato che l’immobile è ora occupato al fine di far scattare l’obbligo TARI. Se questa comunicazione non avviene, il Comune potrebbe comunque emettere avvisi sulla base dei dati catastali o della storia passata: magari continua a mandare la tassa all’indirizzo del precedente occupante o al proprietario stesso.

Nella pratica, è frequentissimo che le famiglie trascurino di fare questa semplice comunicazione, creando confusione: le cartelle arrivano al padre, il quale pensa “non dovrebbe toccare a me” e non paga, accumulando debiti. Poi, quando scoppia il problema con il Comune, diventa molto più difficile sanare la posizione. La soluzione è semplice: quando un parente entra in una casa data gratis, fai una dichiarazione TARI al Comune nel giro di pochi giorni.

Il calcolo e le possibili riduzioni

La TARI si calcola sulla base della superficie calpestabile dell’immobile (ricavabile dal Catasto) e del numero di occupanti dichiarati. Il Comune applica un’aliquota (che varia da municipalità a municipalità) e questo calcolo determina l’importo annuale dovuto. Molti comuni prevedono riduzioni TARI per casi specifici: studenti fuori sede, residenti all’estero, immobili utilizzati solo stagionalmente. Se il figlio entra nella casa come prima residenza stabile, il regime è ordinario; se, invece, la situazione è atipica (ad esempio, il figlio mantiene la residenza altrove e la casa è utilizzata solo part-time), potrebbe valere la pena di verificare con il Comune se sono previste riduzioni.

Se la casa è vuota o quasi

Una situazione delicata è quella della casa che è formalmente occupata ma di fatto quasi mai utilisata. Magari il figlio ha lì la residenza, ma passa la maggior parte del tempo altrove. Secondo la letter della legge, è comunque dovuta la TARI perché l’immobile è intestato a un occupante. Tuttavia, molti comuni permettono di denunciare un “utilizzo parziale” o “frazionario” dell’immobile e applicano riduzioni di conseguenza. Anche questo varia enormemente tra i comuni, dunque è fondamentale controllare il regolamento TARI locale.

Cosa è successo alla TASI e cosa comporta oggi

La TASI rimane un argomento che genera confusione perché molti articoli online la trattano ancora al presente, nonostante sia stata eliminata dal sistema tributario. Facciamo chiarezza, anche per tranquillizzare chi teme di dovere ancora vedersela.

Com’era la TASI prima dell’abolizione

Fino al 2019, oltre all’IMU, esisteva una tassa autonoma chiamata TASI (Tassa sui Servizi Indivisibili). Questa tassa finanziava i servizi comunali indivisibili (illuminazione, viabilità, ecc.) e, diversamente dall’IMU, poteva essere ripartita tra proprietario e occupante. Il proprietario versava una quota preponderante (tipicamente il 70-90%, secondo il regolamento comunale), mentre l’occupante versava il rimanente (10-30%). Per chi viveva in affitto o in comodato gratuito, significava ricevere bollette anche da parte dell’occupante per la sua quota di TASI.

La situazione attuale: eliminazione e integrazione

Dal 1° gennaio 2020, la TASI è stata ufficialmente abolita e il suo gettito è stato riassorbito in una restructured IMU. Per effetto pratico, oggi non esiste più una tassa autonoma denominata TASI; la tassazione sulla proprietà immobiliare è tornata a concentrarsi su IMU (per il proprietario) e TARI (per l’occupante). Questo ha semplificato notevolmente la vita di molte famiglie: non ci sono più due distinte bollette da gestire, non c’è più la ripartizione proprietario-occupante per questa imposta.

Cosa fare se hai arretrati o dubbi su anni passati

Se possiedi delle vecchie cartelle TASI relative agli anni 2012-2019, queste rimangono valide e potenzialmente esigibili, poiché la legge non ha fatto retromarcia sugli obblighi tributari degli anni passati. Se hai ricevuto avvisi di mora per TASI non pagata, è prudente consultare un professionista o un CAF per verificare se il debito è effettivamente dovuto e se sono ancora possibili ravvedimenti operosi o se il termine di prescrizione è ormai scaduto (solitamente 10 anni per le imposte). Non è il caso di ignorare le cartelle, poiché il Comune potrebbe procedere all’esecuzione forzata o alla riscossione coattiva; al contempo, non è opportuno pagare senza verificare prima la fondatezza del credito dichiarato.

Gestire la casa gratis in famiglia senza sorprese

Scoperto come funzionano le imposte, resta la domanda pratica: come ci si organizza concretamente per evitare discussioni familiari, sorprese fiscali e guai con il Comune? Ci sono scelte intelligenti che portano vantaggi reali.

L’importanza del contratto di comodato scritto

Se stai pensando di dare stabilmente una casa a un figlio o a un parente di primo grado, redigi e registra un contratto di comodato d’uso gratuito. Non serve che sia complicatissimo; un modello standard registrato da un notaio o inviato a registrazione presso l’Agenzia delle Entrate ha un costo minimo (al di sotto di 100 euro, spesso molto meno se fatto con un CAF). I vantaggi sono notevoli: attesta formalmente il vostro accordo; permette di accedere alla riduzione IMU del 50% se sussistono gli altri requisiti; crea una chiara traccia documentale se mai nascono dispute. È anche un modo di proteggere il diritto d’uso del parente, nel caso il proprietario in seguito volesse revocarlo arbitrariamente.

Senza contratto scritto, il vostro accordo rimane verbale e informale, il che significa zero sconto IMU e zero protezione legale per l’occupante. Non è un vantaggio, è un rischio.

Verificare il regolamento comunale

Le agevolazioni per i comodati non sono uguali in tutta Italia. Ogni Comune ha autonomia nel definire il proprio regolamento IMU e TARI, stabilendo aliquote, riduzioni e modalità di accesso alle agevolazioni. Prima di assumere che avrai diritto a uno sconto del 50% IMU, controlla il sito del tuo Comune o rivolgiti al Servizio Tributi: verifica se la riduzione per comodato ai parenti è prevista, se ci sono requisiti aggiuntivi locali (ad esempio, limitazioni di valore dell’immobile, specifiche sulla categoria catastale, ecc.) e come si fa a richiedere il beneficio.

Molti Comuni permettono la richiesta online tramite il portale dei tributi; altri richiedono un modulo cartaceo. Non perderti questa documentazione semplicemente perché “il tuo cugino ha detto che gli è spettato”: il sistema locale potrebbe essere diverso.

Comunicazioni obbligatorie al Comune

Quando il figlio o il parente entra nella casa:

  1. Registra la residenza anagrafica presso il Comune. Questo è obbligatorio e deve avvenire entro qualche giorno dal trasferimento effettivo.
  2. Comunica l’occupazione TARI mediante il modulo di dichiarazione predisposto dal Comune. Questa comunicazione attiva l’obbligo TARI a carico dell’occupante e chiarisce al Comune chi effettivamente risiede nella casa.
  3. Se richiedi agevolazione IMU per comodato, registra il contratto presso l’Agenzia delle Entrate (non serve il Comune direttamente, ma è fondamentale per l’Agenzia delle Entrate).

Non fare queste comunicazioni è uno dei grandi errori: il Comune rimane nell’incertezza, i vostri obblighi tributari diventano vaghi, e rischiate cartelle errate.

Errori comuni da evitare

L’errore più diffuso è pensare che l’assenza di affitto significhi assenza di tasse. Non è così. Le tasse sulla casa colpiscono la proprietà e l’uso, non il flusso di denaro.

Un altro sbaglio frequente è considerare “prima casa” una proprietà in cui il proprietario non risiede. L’esenzione IMU per abitazione principale è strettamente personale: se non vivi lì, per te non è prima casa, indipendentemente da chi ci vive.

Poi c’è chi ignora la categoria catastale dell’immobile. Se è A/1, A/8 o A/9 (lusso), non ci sono sconti IMU possibili, nemmeno se in comodato.

Infine, basarsi su informazioni datate riguardo TASI è un errore: consultare un articolo di cinque anni fa che parla di TASI come se fosse ancora attiva genera false aspettative.

Un promemoria operativo rapido

Se stai mettendo in atto ora un comodato gratuito con un parente di primo grado:

  • Scrivi e registra il contratto di comodato d’uso gratuito
  • Comunica la residenza e la TARI al Comune entro pochi giorni
  • Verifica sul sito del Comune le agevolazioni IMU disponibili e i requisiti
  • Richiedi formalmente al Comune l’applicazione della riduzione IMU se ne hai i requisiti
  • Fai in modo che l’occupante (tuo figlio) paghi la TARI; se vuoi pagarla tu, comunque il Comune sa chi è il responsabile formale

Questi passi prendono un’ora e vi evitano problemi per anni.

Le risposte finali su chi paga davvero

Torniamo alla scena iniziale: i genitori danno la casa al figlio senza affitto, e si domandano chi verserà le tasse. Ora hai tutti gli elementi per rispondere.

L’IMU la paga il proprietario, indipendentemente da chi occupa la casa. Se il proprietario ha una residenza principale altrove e la casa è una seconda proprietà, l’IMU è dovuta in misura ordinaria. Se, però, il proprietario ha formalizzato un comodato d’uso gratuito con un figlio che vi abita come prima casa, e se il proprietario soddisfa gli altri requisiti (una sola altra proprietà residenziale al massimo, stesso Comune, ecc.), allora può accedere a una riduzione del 50% della base imponibile IMU a condizione che il contratto sia registrato e il Comune lo preveda nel suo regolamento.

La TARI la paga chi occupa stabilmente l’immobile, cioè il figlio che vi abita. L’occupante ha l’obbligo di dichiarare l’occupazione al Comune e di versare la tassa in base alla superficie e al numero di occupanti. Se il padre vuole pagarla al posto del figlio per accordo familiare, può farlo, ma il Comune continuerà a ritener responsabile il figlio formalmente.

La TASI non è più rilevante dal 2020, perché è stata abolita e integrata nella nuova IMU. Se hai cartelle TASI di anni passati, verificale con un professionista, ma non è una preoccupazione per gli anni futuri.

Essere informato e agire con precisione è il metodo migliore per trasformare un aiuto familiare (dare una casa) in un aiuto vero, privo di sorprese fiscali. Non affidati al “sentito dire”: verifica il regolamento del tuo Comune, metti tutto per iscritto, comunica al Comune chi abita dove e perché, e dormi tranquillo sapendo che state operando correttamente, sia verso la famiglia sia verso lo Stato. Una casa data gratis merita una gestione intelligente, non improvvisazione fiscale.

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